In un periodo in cui non solo il rendimento agricolo del riso ma anche il suo contenuto proteico sono sottoposti a continui studi per il loro miglioramento attraverso sia l'incrocio varietale sia l'ibridazione genetica, anche nel tentativo di elevare il valore biologico delle proteine del riso, le industrie produttrici di riso lavorato continuano a mettere in commercio prodotti altamente raffinati, pur se è noto che la raffinazione più spinta, comporta al riso notevole maggior perdita di sostanze nutritive.
Questa tendenza, peraltro rilevabile anche in paesi che stanno uscendo da uno stadio di sottosviluppo, è generalizzata nelle nazioni occidentali industrializzate ed è particolarmente avvertita in Italia. Da noi pare che il riso per essere buono debba essere bianchissimo. Malgrado la martellante pubblicità fatta da una azienda leader di mercato negli anni 80, non si è riusciti in Italia a far capire che il riso "migliore" è proprio quello poco lavorato, non proprio bianco,che si sfarina nel tempo e lascia sulle mani quando lo si tocca, la tipica farina.
La raffinazione del riso grezzo (risone) è un procedimento di tipo piuttosto semplice.
Constatato che il granello di riso è racchiuso da una corteccia detta lolla, si hanno, partendo dall'esterno, i seguenti strati, esemplificati in via approssimativa:
- la corteccia paglierina (glume e giumelle), detta lolla
- una pellicola di contenimento del pericarpo, ossia delle parti più esterne, caratterizzate da una composizione assai diversa da quella dell'aggregato amidaceo più interno
- uno strato di farine, ossia il grosso del pericarpo
- uno strato ,chiamato aleuronico, che è già una via di mezzo tra le farine e l'amido
- il granello bianco, che tutti conosciamo, composto per oltre il 90% di amido.
La raffinazione com'è oggi intesa consiste dapprima nello scortecciare il riso grezzo,indi nell'intaccare il pericarpo, sottraendo per sfregamento le farine, togliendo purtroppo tutto o quasi lo strato aleuronico per infine ottenere il chicco lavorato.
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